Presentato in anteprima all’82ª Mostra del Cinems di Venezia, sbarca su Netflix dal 24 ottobre
Con A House of Dynamite, Kathryn Bigelow torna a maneggiare il materiale che più le è familiare: il confronto ad alta tensione tra potere, responsabilità e paura, tutto racchiuso in uno spazio chiuso e carico di energia compressa, mentre il mondo fuori è sospeso sull’orlo dell’apocalisse.
La trama è semplice, ma la posta in gioco è assoluta: un missile nucleare non identificato è in volo verso il territorio degli Stati Uniti. Mancano solo 19 minuti all’impatto. Nella Situation Room, il Presidente (Idris Elba) e il suo gruppo di consiglieri sono chiamati a prendere decisioni immediate: capire la provenienza dell’arma, stabilire se si tratta di un attacco deliberato e, soprattutto, decidere se rispondere con forza pari. Intanto, una giovane ufficiale dell’aeronautica (Rebecca Ferguson) cerca di interpretare dati radar confusi, in un clima dove ogni errore può essere fatale.
Bigelow costruisce il film come un conto alla rovescia incandescente, dove ogni inquadratura, ogni taglio di montaggio diventa un’unità di tempo e tensione. La regia è chirurgica, essenziale, incalzante. Nessun compiacimento, nessun abbellimento: il ritmo è il battito stesso del pericolo imminente.
Ma A House of Dynamite non è solo un thriller d’assedio politico. È una riflessione tagliente sulla vulnerabilità delle istituzioni e sul peso morale che grava su chi deve decidere nel momento più critico. La “casa di dinamite” non è soltanto la stanza del potere: è il fragile equilibrio su cui poggia l’intero sistema decisionale, sempre in bilico tra razionalità e orgoglio, lucidità e panico.
Il film è dominato da un senso costante di controllo e disciplina. Bigelow non offre mai un’esplosione liberatoria: mantiene la tensione al massimo, ma senza mai sfogarla, come se l’intera pellicola fosse una miccia accesa che si consuma lentamente, senza mai raggiungere la detonazione. È un cinema che rifiuta le semplificazioni, che non indica colpevoli, ma mostra con freddezza disarmante quanto il potere, per quanto esercitato da persone capaci, resti una materia instabile.
A House of Dynamite è cinema politico nella sua forma più essenziale e lucida. Non consola, non giudica, ma spalanca davanti allo spettatore l’abisso della responsabilità umana in un mondo dove il margine d’errore è diventato troppo sottile. Forse non è un film che esplode, ma è uno di quelli che restano a vibrare sotto pelle, come un allarme che nessuno può disattivare.
Federica Rizzo