Ad Alice nella città in Concorso nella sezione Panorama Italia, arriverà prossimamente al cinema con Fandango
Con Gioia mia, Margherita Spampinato firma un esordio alla regia sorprendentemente maturo, intimo e poetico. Ambientato nel cuore di un’estate siciliana, il film racconta il temporaneo sradicamento di Nico, un bambino urbano e contemporaneo – smalto sulle unghie, telefono sempre in mano – costretto a lasciare la sua routine digitale per trascorrere un mese con la zia Gela, in una casa lontana dal wi-fi, dal condizionatore e dalla frenesia metropolitana.
La convivenza tra i due è inizialmente urtata dalle loro profonde differenze: lui è figlio della modernità, lei un frammento vivido di un tempo che pare immobile. Tuttavia, proprio in questo scontro generazionale si innesta la possibilità di un incontro. Spampinato lavora con delicatezza sul rapporto fra i protagonisti, riuscendo a far emergere con intensità la distanza e, allo stesso tempo, la sorprendente prossimità tra infanzia e vecchiaia, tra chi si affaccia alla vita e chi la osserva dal crepuscolo.
Il film si costruisce su una semplicità apparente, fatta di gesti quotidiani, piccoli rituali e ambientazioni fortemente riconoscibili – la casa dalle tapparelle abbassate, il condominio popolato di nonne e nipoti, le partite a carte, i rumori misteriosi dagli appartamenti in alto. Ma questa linearità narrativa è attraversata da una sensibilità autentica, che fa vibrare ogni scena di un’intimità profonda. La regista attinge chiaramente a esperienze personali, rielaborandole in una sceneggiatura che riesce a trasformare il particolare in universale, e a evocare memorie condivise di molte estati italiane vissute “in affidamento” a parenti anziani mentre i genitori restavano in città a lavorare.
A dare corpo e volto alla zia Gela è una magnifica Aurora Quattrocchi, che con naturale autorevolezza incarna un’intera generazione di donne del sud, custodi di case, di usanze e di affetti. Al suo fianco, il giovanissimo Marco Fiore – nei panni di Nico – sorprende per autenticità e intensità. La regista, forte della sua esperienza nel casting, ha saputo guidarlo con intelligenza, adattando i dialoghi al suo modo di essere, permettendogli così di esprimersi con disinvoltura e spontaneità. Il risultato è un personaggio credibile, sfaccettato, mai costruito.
La regia di Spampinato si distingue per l’approccio visivo raffinato e partecipato: la macchina da presa si abbassa spesso all’altezza del bambino, restituendo un punto di vista ravvicinato, partecipe, che permette di cogliere sfumature emotive ed espressive attraverso l’uso insistito di primissimi piani. Una scelta che si accompagna a una fotografia calda e avvolgente, capace di rendere con grazia la penombra degli interni e la luce vibrante delle giornate siciliane, creando ritratti intimi e suggestivi, pieni di atmosfera.
Gioia mia non cerca lo sfarzo né il colpo di scena: punta invece sulla sincerità dello sguardo, sul valore del silenzio e su un racconto fatto di minimi scarti, piccoli traumi e aperture affettive. La componente più drammatica – il dolore personale che entrambi i protagonisti si portano dentro, lui per l’assenza della babysitter amata, lei per un lutto non dichiarato – è trattata con rispetto e profondità, mai gridata ma sempre presente, come una ferita che pulsa sotto la superficie.
Al tempo stesso, il film non rinuncia a un tono leggero, arricchito da un corollario di personaggi secondari vivaci e da un’impronta da commedia malinconica che riequilibra il pathos con ironia. L’ambientazione condominiale diventa quasi un microcosmo affettivo, e le dinamiche tra adulti e bambini evocano, con discrezione e tenerezza, le atmosfere di certo cinema italiano del passato, da De Sica a Comencini.
Nel finale, una partita a nascondino in cortile – simbolica e liberatoria – suggella il percorso di crescita di Nico, ma anche la possibilità di un dialogo intergenerazionale che, seppure imperfetto, è profondamente umano. È un momento che restituisce al film quella sensazione di verità emotiva che lo attraversa tutto: non è nostalgia gratuita, ma riconoscimento di un tempo altro, di un’estate che può ancora insegnarci qualcosa.
Con Gioia mia, Spampinato costruisce un piccolo film che riesce a farsi grande attraverso la cura dei dettagli, l’amore per i personaggi e la capacità di evocare emozioni autentiche. Un’opera che ci ricorda che crescere, spesso, significa soltanto trovare un nuovo modo per ascoltarsi.
Paola Canali