Al Teatro Vascello, la leggendaria danzatrice canadese trasforma la memoria fisica in poesia del gesto: un pellegrinaggio tra energia, tempo e trasformazione
Un corpo che attraversa lo spazio come fosse attraversato dal tempo. Un fluire incessante di energia e tensione che diventa racconto, rituale, meditazione. Louise Lecavalier è tornata in scena al Teatro Vascello (15 e 16 ottobre, nell’ambito del Romaeuropa Festival) con Danses Vagabondes, e ciò a cui abbiamo assistito non è stato semplicemente uno spettacolo, ma un’esperienza viscerale, un’immersione nella memoria fisica di un’artista che, anche oltre i sessant’anni, continua a sfidare ogni aspettativa.
Concepito come un pellegrinaggio danzato, Danses Vagabondes è una creazione potente e poetica, capace di far convivere il gesto calibratissimo con il disordine emotivo, la fatica con la grazia. La scena si apre con uno schermo grigio che lentamente si rischiara: da lì prende vita la figura di Lecavalier, quasi evocata da un incantesimo, pronta a trasformare il palco in un territorio di scoperta.
La performance è un continuo passaggio tra tensione e rilascio, tra gesto tecnico e abbandono istintivo. Lecavalier si muove come se ogni articolazione fosse dotata di pensiero autonomo, ma perfettamente integrata in una coreografia interiore. Il suo corpo non “interpreta” semplicemente, ma “è”: materia viva che si trasforma, si frantuma e si ricompone davanti allo sguardo dello spettatore. C’è qualcosa di animalesco e insieme profondamente umano nei suoi movimenti — una danza che non vuole piacere, ma esistere.
Ispirata agli Écrits Vagabonds di Carlo Rovelli, l’opera è attraversata da un senso di ricerca esistenziale, ma è anche ironica, tenera, carnale. Louise Lecavalier abita ogni gesto con la consapevolezza di chi ha vissuto — artisticamente e fisicamente — ogni possibile estremo. Il corpo diventa archivio, autobiografia non narrata ma danzata, e in questa “scrittura” coreografica si leggono frammenti di una vita artistica che ha attraversato epoche, estetiche e collaborazioni straordinarie.
Storica interprete della compagnia La La La Human Steps, con la quale ha rivoluzionato la scena della danza tra anni Ottanta e Novanta sotto la direzione di Édouard Lock, Lecavalier ha reso celebre uno stile fatto di vertigine, rischio, prese acrobatiche e velocità inaudita. Un’eredità che non rinnega, ma rielabora, in una forma più asciutta e consapevole. Collaborazioni iconiche con David Bowie, Frank Zappa, Crystal Pite e Tedd Robinson hanno segnato il suo cammino, ma oggi l’artista canadese sembra restituire tutto quel percorso in una forma nuova, filtrata dal tempo e dalla maturità.
Nel lavoro presentato al Vascello, l’atmosfera è costruita con rigore e sensibilità: luci essenziali ma evocative, suoni che si alternano tra pulsazioni ritmiche e silenzi sospesi. Ogni dettaglio è al servizio di un corpo che si fa spazio sacro. Lo spettacolo non è narrativo, ma è pieno di storie: storie che si leggono nelle curve improvvise della schiena, nei passi a spirale, nelle cadute che diventano slancio, nei gesti che sembrano nascere da un’urgenza primaria.
La Lecavalier di oggi non cerca più il virtuosismo per stupire, ma lo reinventa per comunicare. La sua fisicità rimane estrema, sì, ma è spinta da una necessità interiore, da una forza che si è fatta trasparente, quasi spirituale. E proprio in questa trasparenza sta la magia dello spettacolo: Danses Vagabondes non vuole spiegare nulla, ma riesce a toccare qualcosa di profondamente universale.
Lo spettatore esce con la sensazione di aver attraversato, insieme a lei, un territorio emotivo e sensoriale inedito. Louise Lecavalier ci consegna non un’opera da ammirare, ma una presenza da abitare, da vivere. E questo è forse il dono più raro e più prezioso del teatro.
Roberto Puntato