Dal 23 ottobre in tre prime serate e in esclusiva su RaiPlay, arriva la serie che racconta un miracolo sociale nato tra le strade di Napoli: un prete che ha trasformato il degrado in speranza
Un quartiere simbolo di emarginazione e criminalità diventa teatro di rinascita, arte e solidarietà: è questa la storia al centro di “Noi del Rione Sanità”, la nuova serie in prima visione su Rai 1 in onda in tre appuntamenti il 23 ottobre, il 30 ottobre e il 6 novembre, e disponibile anche in boxset su RaiPlay.
A vestire l’abito talare del protagonista è Carmine Recano, nel ruolo di Don Giuseppe Santoro, figura ispirata a Don Antonio Loffredo, il sacerdote realmente esistente che ha saputo cambiare il volto del Rione Sanità a Napoli, uno dei luoghi più complessi e suggestivi della città. La fiction, diretta da Luca Miniero e scritta da Salvatore Basile, Angelo Petrella e Benedetta Gargano, è prodotta da Mad Entertainment con Rai Fiction.
Un prete visionario e il potere della bellezza
Don Giuseppe, come Don Antonio, non è un prete convenzionale. È un uomo con una visione precisa: restituire ai ragazzi del quartiere la possibilità di immaginare un futuro, offrendo alternative concrete alla criminalità attraverso l’arte, il teatro e lo sport. Dal 2006, il vero Don Antonio ha coinvolto un gruppo di giovani fondando una cooperativa sociale che ha trasformato luoghi abbandonati in spazi culturali vivi e partecipati.
Il teatro fondato all’interno di una chiesa è diventato il cuore pulsante di questa rivoluzione silenziosa. Ed è lì che la serie prende vita, mostrando il potere trasformativo della cultura quando si unisce all’impegno sociale.
Una favola metropolitana tra degrado e speranza
Tratta dal libro autobiografico di Don Antonio Loffredo, la fiction è una storia corale, ambientata in una Napoli che sa essere insieme luminosa e contraddittoria, dove convivono bellezza e disperazione, dolore e rinascita. Come spiega lo stesso Don Antonio:
«Non si racconta la mia storia, ma quella di noi del Rione Sanità. Io sono stato il mediano: passavo la palla ai ragazzi, il gol lo hanno fatto loro».
Il nome del protagonista, Don Giuseppe, è un omaggio al sacerdote che precedette Don Antonio e che, con coraggio, preparò il terreno per ciò che sarebbe venuto dopo.
«Per diventare grandi bisogna salire sulle spalle dei giganti», ha affermato il parroco durante la presentazione della serie.
Il volto e l’anima della serie
Carmine Recano, che interpreta Don Giuseppe, racconta un legame personale con questa storia:
«Ho vissuto in prima persona le attività del teatro Sanità, ho visto con i miei occhi la luce negli sguardi dei ragazzi, un tempo rassegnati. Vestire i panni di questo prete è stato un viaggio intenso, dentro e fuori dal set».
Al suo fianco, Nicole Grimaudo interpreta una donna legata al passato laico del sacerdote, portando avanti una storyline parallela e umana. Il cast comprende anche Bianca Nappi, Vincenzo Nemolato, Tony Laudadio, oltre a un gruppo di giovani attori – Chiara Celotto, Giampiero De Concilio, Ludovica Nasti, Caterina Ferioli, tra gli altri – molti dei quali provengono proprio dalle esperienze teatrali nate nel quartiere.
Il regista Luca Miniero sottolinea come il progetto sia nato da un impatto reale:
«Tornare al Rione Sanità dopo anni e vederlo cambiato è stato già parte del racconto. I ragazzi che abbiamo coinvolto hanno portato sul set la loro verità, aggiungendo colore e autenticità alla sceneggiatura».
Tra realtà e finzione, una testimonianza viva
La serie non solo si ispira a una storia vera, ma vive della voce diretta dei ragazzi del quartiere, che spesso si rivolgono alla camera per raccontare il loro punto di vista. Una scelta registica che rompe la finzione per restituire forza e credibilità al racconto.
“Noi del Rione Sanità” è un esperimento televisivo che unisce dramma sociale, speranza e visione collettiva. È una testimonianza di come un piccolo gruppo possa cambiare il destino di un intero quartiere, dando spazio a sogni spesso soffocati dal rumore delle armi e delle sirene.
Concludendo con le parole ironiche e affettuose del regista Miniero:
«Raccontare un personaggio reale è sempre difficile. Rischi di tradirlo o di diventare troppo didascalico. Ma grazie agli attori – adulti e ragazzi – abbiamo trovato un equilibrio. I ragazzi non li cito troppo, altrimenti si montano la testa».
Un racconto che nasce dal basso, ma guarda in alto. E che invita lo spettatore a credere che anche nei luoghi più difficili può fiorire la bellezza.
Federica Rizzo