Presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle e vincitore del Premio Miglior Opera Prima Poste Italiane, arriverà in sala nella primavera 2026 con Fandango
Tienimi presente segna l’esordio di Alberto Palmiero con un racconto intimo e autentico che esplora il disorientamento di una generazione in bilico tra sogni rimandati, aspettative troppo grandi e un futuro che sembra sempre altrove. Con uno sguardo delicato e privo di artifici, il film restituisce la fragilità e la forza di chi cerca di trovare il proprio posto nel mondo senza smettere di credere, almeno un po’, nella possibilità di farcela.
Palmiero – autore, sceneggiatore e interprete – mette in scena una versione quasi speculare di sé: un aspirante regista vicino ai trent’anni che, deluso dall’ennesima promessa mancata, abbandona Roma e torna nella provincia casertana. Convinto di ritrovare nella casa d’infanzia un rifugio stabile, scopre invece che il ritorno non cancella le inquietudini: resta la fatica di capire chi si è e cosa si vuole diventare. Tra piccoli lavori, serate con gli amici rimasti e l’affetto sincero dei genitori, il protagonista si muove in un limbo in cui ogni passo avanti sembra subito vanificato.
Il film, a metà strada tra autofiction e diario esistenziale, unisce ironia e malinconia in una narrazione limpida, spontanea, mai compiaciuta. Si avverte l’eredità del primo Nanni Moretti – il gusto per l’autoritratto disarmato – e la tenerezza un po’ sghemba di Massimo Troisi o Gianni Di Gregorio, ma Palmiero trova presto una voce autonoma, più intima e pudica. Evita qualsiasi atteggiamento intellettualistico, preferendo un racconto che parla per frammenti, attraverso piccoli gesti, sguardi, frasi quotidiane che diventano specchio di un disagio generazionale diffuso.
A rendere Tienimi presente tanto autentico è la sua dimensione metacinematografica: il film che vediamo è lo stesso che Palmiero, nella finzione, non riusciva a realizzare. Così il racconto si chiude in un cerchio perfetto: la storia di un sogno che sembrava fallito e invece trova la sua forma, proprio nella rinuncia e nella fragilità.
Accanto al protagonista si muovono figure reali e simboliche – dal produttore Gianluca Arcopinto, che interpreta se stesso, a Marco Bellocchio in un cameo – e personaggi comuni, genitori e amici, che incarnano la quotidianità disillusa di una generazione “straniera ovunque”, nel Sud che non offre opportunità come nelle città che non sanno accogliere.
Ma Palmiero non cede al vittimismo: il suo sguardo resta affettuoso, empatico, persino luminoso quando racconta il legame con Gaia, presenza gentile che riaccende un briciolo di speranza. In fondo, Tienimi presente non è solo un film sulla sconfitta, ma sulla possibilità di ritrovare se stessi nel disincanto, e di scoprire che “tenersi presenti” – cioè non dimenticare chi si è, da dove si viene, cosa ci fa sentire vivi – è già una forma di resistenza.
Un’opera piccola ma sincera, che trasforma la precarietà in poesia e il fallimento in rinascita. Da ricordare, e da tenere davvero presente.
Alessandra Broglia