Lo spettacolo, al Piccolo Eliseo dal 14 al 24 novembre, vede protagonista Anna Della Rosa per la regia di Veronica Cruciani
Dopo il debutto al Teatro India dello scorso anno, lo spettacolo ACCABADORA, tratto dal romanzo di Michela Murgia (Einaudi 2009; vincitore Premio Campiello 2010), per la regia di Veronica Cruciani, torna nella Capitale, stavolta sul palcoscenico del Piccolo Eliseo dal 14 al 24 novembre e con protagonista Anna Della Rosa.
La drammaturgia è stata affidata a Carlotta Corradi su richiesta della regista, che da subito ha pensato di farne un monologo partendo dal punto di vista di Maria, la figlia di Bonaria Urrai, l’accabadora di Soreni.
Michela Murgia racconta una storia ambientata in un paesino immaginario della Sardegna, dove Maria, all’età di sei anni, viene data a fill’e anima a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’“accabadora”, parola di tradizione sarda, dallo spagnolo acabar, che significa “finire, uccidere”. Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura. È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato, ma pochi anni dopo torna sul letto di morte della Tzia. L’accudimento finale è uno dei doveri dell’essere figlia d’anima, una forma di adozione concordata tra il genitore naturale e il genitore adottivo. La drammaturgia di Carlotta Corradi parte proprio dal ritorno di Maria sul letto di morte di Tzia Bonaria. C’è un tempo di separazione profonda tra le due donne che pesa in questo incontro. La verità, la rabbia che la ragazza ancora prova per il tradimento subito dalla Tzia viene a galla prepotentemente, nonostante gli sforzi che Maria compie per galleggiare tra i migliori ricordi dell’infanzia accanto alla lunga gonna nera della Tzia.
“Accabadora propone un modello diverso di famiglia, dove la madre non è quella biologica ma adottiva, che ci conduce verso l’Idea di una società più aperta – afferma la regista Veronica Cruciani – Tuttavia la stessa madre adottiva, in punto di morte, chiederà a Maria di compiere un gesto estremo, contro la sua volontà. Gesto che lei, l’accabadora, ha compiuto più volte nella vita e che Maria non riesce ancora a perdonarle. Da subito ho immaginato il dialogo tra Maria e Tzia Bonaria come un dialogo tra sé e una parte di sé, tra una figlia e il suo genitore interiore. Per questo ho voluto realizzare uno spazio astratto, mentale, nel quale Maria cerca di rielaborare la morte della madre adottiva. Ciò darà origine ad un conflitto tra due aspetti di Maria: la parte rimasta bambina e la parte che deve diventare adulta. Il video mi ha permesso di rendere visibile le dinamiche emotive e relazionali tra queste due parti. La pedana sospesa crea una divisione tra l’attrice e il pubblico, è la gabbia mentale in cui Maria è intrappolata e di cui riuscirà a liberarsi soltanto alla fine, compiendo il fatidico gesto richiesto dalla madre. O meglio, ripetendolo davanti alla sua coscienza – e a noi pubblico – che la assolverà. Lo spettacolo, visto come una rêverie che si ripete ogni giorno uguale a se stessa, troverà in questa sofferta ripetizione del gesto la sua risoluzione, permettendo a Maria di uscire dall’ossessione e di andare in una nuova direzione di vita.”
“Sebbene il romanzo sia spesso ricordato per due temi estremamente attuali quali eutanasia e adozione, nella mia percezione è stato fin da subito un’indimenticabile storia d’amore – afferma Carlotta Corradi – In questo caso, tra una figlia e una madre. In questo caso, non la madre naturale. Ma l’altra madre. Un amore costruito giorno dopo giorno, per questo simile a un legame sentimentale, fondato sulla scelta. E come ogni rapporto madre-figlia è destinato a uno strappo, a un momento in cui la bambina diventa donna, fino a diventare madre della madre. Per me, il passaggio più difficile, e ancora incomprensibile, della vita. Nella storia di Maria e Tzia Bonaria lo strappo è talmente forte che Maria, anziché crescere, decide di fuggire nel continente. Quando torna, nonostante siano passati gli anni, Maria è rimasta adolescente. Per questo ho scelto come punto di partenza della mia drammaturgia la fine del romanzo: il momento in cui una Maria intrappolata nel suo essere figlia si ritrova a dover essere madre. Tutta l’intensità di quest’ultimo tempo accanto alla Tzia è dato dai passaggi non compiuti, dalle cose non dette, le accuse non fatte, l’amore non richiesto. Una volta affrontate le negazioni, Maria è pronta a esplodere in un gesto finale che è un ultimo ed essenziale atto d’amore che la figlia d’anima compie verso sua madre, e che la farà diventare una donna.”
Michela Murgia, per la prima volta ha deciso di appoggiare e accompagnare la nascita di uno spettacolo nato dal suo romanzo: infatti spiega che “Carlotta Corradi ha fatto un lavoro di tessitura, utilizzando tutte parole mie, ma in un modo in cui io non le ho usate. C’è un’originalità anche autoriale in questo testo. Chiamarlo ‘riduzione’ non va bene: è un ampliamento. Una visione che io non ho assunto perché la mia attenzione era sulla vecchia, non sulla bambina. È un pezzo di Maria che mancava, sono felice che siano state altre donne a vederlo. Probabilmente dieci anni fa, quando ho scritto il romanzo, non ero in grado di vedere la Maria adulta. Ora è un piacere leggerla nelle parole, negli occhi, nel gesto artistico di altre professioniste. Pur non avendo scritto una parola, potrei controfirmarla, la sento molto mia, molto somigliante all’intenzione letteraria che c’era nel romanzo.“