Nella shortlist come miglior film internazionale, arriva al cinema dal 16 febbraio con Officine UBU
Il regista irlandese Colm Bairéad esordisce nel cinema di finzione con un racconto di formazione delicato e intenso: il suo The quiet girl, tratto da un racconto breve di Claire Keegan, è un’opera originale ed emozionante, che parla di dolore e abbandono ma anche di rinascita.
La protagonista è Cáit, una bambina di nove anni proveniente da una famiglia disfunzionale e impoverita, a cui ha reagito chiudendosi nel silenzio e nascondendosi agli occhi degli altri. Con l’arrivo dell’estate e l’avvicinarsi del termine della gravidanza della madre, Cáit viene mandata a vivere da alcuni lontani parenti, una coppia di mezza età che mostra verso di lei una grande premura. Giorno dopo giorno, e grazie all’affetto mostratole dai Kinsella, Cáit rifiorisce, ma viene anche a conoscenza di un bruciante segreto riguardante la coppia.
Girato in gaelico, ma più improntato sul linguaggio gestuale che su quello verbale, The quiet girl ci regala il ritratto di una giovane che porta dentro di sé i segni del disamore, scegliendo il silenzio come unico mezzo per tenere a bada il suo dolore.
La bravissima Catherine Clinch ci guida per mano nel suo viaggio, lento ed intenso, verso il riaprirsi alla vita, imparando a conoscere un affetto che non aveva mai ricevuto prima.
Il regista coglie con precisione ogni particolare, facendo parlare le immagini, illuminate dalla splendida fotografia di Kate McCullough, più che i personaggi.
Ne deriva un’opera di potente naturalismo, scandita attraverso i gesti quotidiani, le attività condivise e i ritmi lenti della vita campestre.
La bella colonna sonora di Stephen Rennicks, la descrizione mia stereotipata del paesaggio irlandese e le ottime prove del cast arricchiscono un film che lascia ai personaggi il tempo di crescere, offrendo allo spettatore il modo di abituarsi ai loro cambiamenti.
Il finale toccante ci invita a riflettere su cosa significhi essere genitori e quanto sia importante l’amore per i bambini al momento di costruire la loro identità.
Ilaria Berlingeri