Al cinema dal 21 maggio
Tra i tanti rifacimenti in live action che la Disney ha proposto negli ultimi anni, Lilo & Stitch si distingue come uno dei più riusciti. Un risultato non scontato, considerando l’attuale fase di transizione della casa di produzione, sospesa tra il bisogno di innovare e la volontà di recuperare le proprie radici narrative e stilistiche. Proprio in questo contesto, in cui la strategia aziendale punta alla riappropriazione delle proprietà intellettuali per rigenerare il legame con le nuove generazioni e mantenere saldo quello con il pubblico storico, questo remake riesce a respirare con una freschezza e una sincerità rare.
La forza del film risiede anzitutto nella solidità del materiale di partenza: il classico animato del 2002 – il 42° della filmografia Disney – era già allora una piccola eccezione rispetto ai fasti del Rinascimento Disney degli anni ’90. Nato con un budget inferiore rispetto ai kolossal coevi, Lilo & Stitch puntava su una storia più intima e meno spettacolare, ambientata nelle Hawaii e animata da una sensibilità sorprendentemente matura. Quel tono dolceamaro, a tratti malinconico, è rimasto intatto nella trasposizione live action, merito soprattutto della regia di Dean Fleischer Camp, già acclamato per Marcel the Shell, piccola perla indie che condivide con Lilo & Stitch l’amore per gli outsider e il valore della comunità.
Il cuore pulsante del film è il legame tra Lilo, una bambina hawaiana solitaria e piena di immaginazione, e Stitch, un esperimento alieno in fuga da chi vuole ridurlo a un’arma. Il racconto, che alterna momenti di comicità travolgente a sequenze di struggente delicatezza, non si limita a riproporre pedissequamente la trama originale: riesce invece a valorizzarne le tematiche profonde, dal senso di appartenenza all’importanza della solidarietà, dal lutto alla resilienza familiare. La figura di Nani, sorella maggiore di Lilo, si arricchisce di nuove sfumature emotive, mentre l’ambientazione hawaiana, lontana dagli stereotipi turistici, viene trattata con rispetto e autenticità, diventando quasi un personaggio a sé.
Il concetto di ‘ohana’, la famiglia intesa nel suo senso più ampio e inclusivo, è il motore narrativo e tematico del film, e trova una rappresentazione potente senza mai cadere nel sentimentalismo facile. Merito anche della sceneggiatura firmata da Chris Kekaniokalani Bright e Mike Van Waes, che intreccia con intelligenza piani temporali e riferimenti culturali. La regia di Fleischer Camp tiene insieme l’energia slapstick delle scene con Stitch e l’introspezione più intima delle dinamiche familiari, regalando momenti visivamente ricchi e narrativamente toccanti.
Il cast è ben assortito: Maia Kealoha, al suo debutto nel ruolo di Lilo, incarna perfettamente l’anima ribelle e sensibile della protagonista; Sydney Agudong, nei panni di Nani, conferisce al personaggio una credibilità emotiva autentica.
Pur con alcune concessioni a stilemi da film televisivo, Lilo & Stitch riesce dove altri live action hanno fallito: non si limita a replicare l’originale, ma lo arricchisce, lo rilegge con intelligenza e lo attualizza senza perdere la sua anima. È un’opera che parla ai bambini, ma non rinuncia a confrontarsi con temi adulti; che diverte senza banalizzare; che emoziona perché sincera. E questo, in tempi di cinismo industriale travestito da nostalgia, è forse il risultato più rivoluzionario.
Carla Curatoli