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Con Scomode verità, Mike Leigh torna a raccontare il quotidiano con la precisione chirurgica e l’umanità che da sempre contraddistinguono la sua poetica. Un cinema che scava sotto la superficie delle vite comuni, mettendo in luce le tensioni invisibili, le ferite non rimarginate e i legami emotivi che resistono, anche quando tutto sembra ormai disgregato. Presentato in concorso al Festival di San Sebastian, il film rappresenta un ritorno potente e vibrante per il regista, a sei anni dall’ultimo lungometraggio, Peterloo.
Al centro del racconto troviamo Pansy Deacon, una donna sulla sessantina che affronta il mondo con un misto di aggressività e angoscia. Il volto e il corpo di questa protagonista indimenticabile sono quelli di Marianne Jean-Baptiste, qui in una delle prove attoriali più intense della sua carriera. Pansy è una figura contraddittoria: ruvida, in apparenza insopportabile, ma allo stesso tempo irresistibilmente viva. Non tollera il marito, un idraulico silenzioso e remissivo, né il figlio Moses, giovane sovrappeso e privo di ambizioni, entrambi bersagli delle sue continue invettive. Tuttavia, la furia che la pervade sembra essere il riflesso di un dolore più profondo, radicato in un passato di sacrifici e frustrazioni.
Isolata dal mondo esterno, che percepisce come minaccioso, Pansy finisce per rifugiarsi nella propria casa-spettro, spoglia e impersonale. La sua rabbia si riversa anche su estranei, in episodi che oscillano tra il tragicomico e l’aggressivo, come quando insulta clienti e medici con battute tanto brillanti quanto taglienti. Eppure, in mezzo a questo caos emotivo, esiste ancora uno spiraglio di contatto umano: la sorella minore Chantelle, una parrucchiera solare e madre di due figlie adulte, che cerca di mantenerne vivo il legame familiare.
Sarà proprio un gesto semplice — una visita alla tomba della madre Pearl nel giorno della Festa della Mamma — a diventare la miccia che innesca un lento processo di consapevolezza. Il ricordo degli ultimi anni trascorsi ad accudire una madre malata riaffiora con forza, restituendo senso e contesto a un disagio psichico che affonda le radici in quell’esperienza di annientamento silenzioso.
Leigh accompagna questa evoluzione con uno sguardo rispettoso e profondamente partecipe. La sua regia è invisibile ma sempre presente, attenta a cogliere ogni sfumatura, ogni incrinatura nei gesti e nei silenzi dei personaggi. Scomode verità non indulge mai nel sentimentalismo, eppure riesce a commuovere nel modo più autentico: mostrando la complessità dell’animo umano senza mai giudicare, solo osservando.
Quando Pansy, ormai sull’orlo del tracollo emotivo, lascia finalmente cadere le sue difese, il film ci regala un momento di rara intensità. È lì che si rivela il cuore pulsante della sua disperazione: un amore profondo, anche se distorto dal dolore e dalla solitudine, che non ha mai smesso di cercare un modo per manifestarsi. In questo passaggio delicatissimo, Leigh tocca corde universali, ritraendo con lucidità la sensazione di spaesamento che molti sperimentano in una società sempre più connessa ma interiormente alienante.
Il film si chiude con un tenue spiraglio di speranza: non una soluzione definitiva, ma un piccolo, credibile passo verso la guarigione. E proprio questo finale sobrio, quasi trattenuto, sancisce la grandezza del film: Scomode verità è un’opera di straordinaria umanità, che ci ricorda quanto sia difficile, e insieme fondamentale, imparare a convivere con le nostre fragilità.
Con questa pellicola, Mike Leigh conferma non solo la sua incredibile lucidità artistica, ma anche la capacità — rara — di restare in sintonia con il tempo presente, restituendoci storie che parlano con onestà e forza a chiunque abbia provato il peso di un’esistenza disillusa. Un’opera intima e necessaria, che lascia il segno.
Paola Canali