Un’estensione senz’anima del Wickverse, al cinema dal 12 giugno con 01 Distribution
Concepito inizialmente come progetto parallelo e tutto al femminile rispetto all’universo John Wick, Ballerina approda sul grande schermo come spin-off collocato tra il terzo e il quarto capitolo della saga. Diretto da Len Wiseman con l’intervento in fase di reshoot di Chad Stahelski, il film si propone come espansione del Wickverse, ma finisce per rimanere imbrigliato nella sua estetica, replicandone stilemi e logiche senza rielaborarli in modo autentico.
Protagonista è Eve Macarro (Ana de Armas), orfana precoce e testimone dell’omicidio del padre per mano di una setta segreta. Cresciuta e addestrata nel clan della Ruska Roma, Eve si trasforma in una macchina da guerra addestrata tra danza, arti marziali e armi da fuoco. Ma più che portare a termine la missione assegnatale dalla setta, sceglie la strada personale della vendetta.
Il film, che nelle intenzioni dovrebbe rappresentare una svolta al femminile per l’universo narrativo di John Wick, non riesce mai davvero a emanciparsi da quella matrice. Eve segue passo dopo passo il medesimo percorso già battuto da Wick: trauma iniziale, addestramento, immersione in un mondo criminale codificato, vendetta. Ma laddove la figura di John trovava forza in un dolore intimo e universale, quello di Eve appare forzato e narrativamente debole, privo di una reale dimensione interiore.
Ana de Armas si impegna a conferire fisicità e carisma a un ruolo che però non le appartiene pienamente: né ballerina né marzialista né killer credibile, l’attrice cubana si muove con eleganza ma senza quella convinzione necessaria a farci dimenticare la costruzione attoriale. Malgrado le sequenze d’azione siano tecnicamente curate, non c’è mai una vera fusione tra personaggio e performance: si percepisce sempre l’attore dietro la parte.
Attorno a lei ruotano presenze note e familiari: Keanu Reeves ritorna brevemente nei panni di John Wick, più come amuleto promozionale che per necessità narrativa; Ian McShane, Lance Reddick e Anjelica Huston offrono brevi camei privi di reale impatto. La loro funzione è più quella del richiamo nostalgico che dell’evoluzione mitologica.
La regia, pur impreziosita da alcuni tocchi stilistici (si pensi all’uso dei dolly o alla fotografia cupa e cromaticamente studiata di Romain Lacourbas), soffre di un impianto visivo ormai saturo. Tutto è già visto: gli scontri coreografati, i rituali tribali, i codici da setta criminale, gli ambienti crepuscolari. Ogni sequenza sembra un’eco di un’altra, senza mai trovare un’identità propria.
Anche sul piano narrativo, la sceneggiatura firmata da Shay Hatten ricalca pedissequamente la struttura del revenge movie più convenzionale, senza offrire variazioni tematiche o di tono. Il personaggio del Cancelliere (Gabriel Byrne) incarna il villain generico, un’emanazione del male patriarcale senza sfumature o reali motivazioni, più una funzione narrativa che un avversario complesso.
Neppure il tentativo di attualizzare il discorso attraverso un’estetica del “girl power” riesce a farsi valere: il femminile rappresentato da Eve è solo una variante cosmetica del paradigma maschile dominante. L’uso della violenza, delle armi, dei codici da assassina resta perfettamente allineato al modello da cui dovrebbe distanziarsi. La mimesi sostituisce la rottura; l’imitazione prende il posto dell’innovazione.
Il risultato è un film che appare più un prodotto industriale che un’opera cinematografica sentita. La volontà di capitalizzare sul successo della saga madre si fa sentire in ogni scelta: dalla costruzione dei personaggi alla gestione dell’universo narrativo, tutto sembra pensato per “riempire uno spazio” più che per raccontare una storia.
Ballerina, dunque, non riesce a imprimere una nuova direzione al Wickverse né ad affermare un’identità propria. Resta un esercizio di stile senz’anima, visivamente curato ma emotivamente sterile, incapace di generare coinvolgimento o di suggerire nuovi orizzonti tematici. E se il film prepara chiaramente il terreno per un sequel, resta da chiedersi se ci sia davvero qualcosa, oltre l’apparato spettacolare, che valga la pena di essere approfondito.
Maria Grande