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Con Unicorni, Michela Andreozzi firma una commedia dal cuore profondo, che affronta con delicatezza e intelligenza il tema della varianza di genere nell’infanzia. Al centro della storia c’è Blu, un bambino di nove anni che ama vestirsi da femmina e sogna di interpretare la Sirenetta alla recita scolastica. Un desiderio apparentemente semplice, che però mette a nudo le fragilità, le paure e i limiti degli adulti intorno a lui.
Lucio ed Elena, i suoi genitori, si definiscono moderni e aperti. Eppure, quando la realtà del figlio esce dai binari convenzionali, le convinzioni vacillano. Lucio, conduttore radiofonico dal pensiero progressista, si rifugia nel timore del giudizio sociale e nella volontà di “proteggerlo” dal mondo. Elena, madre più istintiva, cerca invece un equilibrio tra il bisogno di tutelare Blu e il desiderio di lasciarlo essere se stesso. In mezzo a loro, un figlio che chiede solo di poter esistere, senza dover essere spiegato o corretto.
Andreozzi racconta questa dinamica familiare con uno sguardo attento, empatico, che non giudica ma accompagna. Lo fa anche attraverso il suo personaggio, la psicologa che guida un gruppo di “Genitori Unicorni”: madri e padri alle prese con figli che sfidano le aspettative di genere. Il film diventa così una sorta di “terapia collettiva” per spettatori e personaggi, in cui le resistenze cedono lentamente il passo alla consapevolezza.
Il punto di forza di Unicorni sta proprio nella molteplicità dei punti di vista: il racconto non si limita al bambino, ma esplora il mondo adulto e le sue difficoltà nel decodificare una realtà che non conosce. La scuola, gli amici, i colleghi, gli ex partner: tutti riflettono, con i loro comportamenti, un sistema che ancora fatica ad accettare ciò che non rientra negli schemi. Eppure, tra momenti di tensione e parentesi più leggere, emerge sempre l’idea che cambiare sguardo sia possibile.
Il cast è compatto e ben diretto. Valentina Lodovini offre una performance intensa, accogliente e autentica. Edoardo Pesce, nei panni di un padre spaesato e vulnerabile, regala uno dei suoi ruoli più sentiti. Ma è Daniele Scardini, giovanissimo protagonista, a conquistare il cuore dello spettatore con un’interpretazione misurata, spontanea, mai caricaturale. Il suo Blu è un bambino vero, che guarda il mondo con la limpidezza tipica di chi non sa ancora cosa sia la paura di essere giudicati.
Accanto alla famiglia, un coro di personaggi da commedia all’italiana: dalla preside esasperata interpretata da Paola Tiziana Cruciani, all’amico destrorso di Lino Musella, fino alla sorprendente Thony in una parte dal sapore romanesco. Figure che alleggeriscono il tono, senza mai svilirne il contenuto.
Unicorni si distingue per l’equilibrio con cui alterna leggerezza e profondità. Non è un film militante, né retorico. È piuttosto un invito sincero a guardare il mondo con occhi nuovi, a rimettere in discussione certezze e paure per fare spazio a un amore più autentico, che non pretende di cambiare ma di comprendere.
L’emozione più potente arriva in un momento chiave, quando il padre si lascia andare in un pianto liberatorio, consapevole che l’unico modo per amare davvero il proprio figlio è accettarlo così com’è. Non proteggerlo da ciò che è. Non cercare di adattarlo al mondo, ma aiutare il mondo ad aprirsi a lui.
Il messaggio è chiaro e potente: l’identità non si definisce, si ascolta. E i bambini, spesso, sanno più degli adulti cosa vuol dire essere se stessi.
Unicorni è un film necessario, che accoglie le sfumature dell’animo umano e accompagna lo spettatore in un percorso di ascolto e comprensione. Una fiaba moderna, colorata e piena di domande scomode, che però parla con il linguaggio più semplice e diretto che esista: quello dell’amore incondizionato.
Federica Rizzo