Al cinema dal 5 giugno con Medusa
Con Mani nude, Mauro Mancini torna al cinema quattro anni dopo l’esordio acclamato di Non odiare, proseguendo il suo percorso di esplorazione morale attraverso storie di dolore e colpa. Liberamente ispirato al romanzo di Paola Barbato, il film racconta un’odissea contemporanea di violenza e redenzione, intrecciando il destino di due uomini – un giovane rapito e un allenatore disilluso – in un contesto sospeso tra realtà brutale e suggestione metafisica.
Davide, adolescente borghese interpretato da Francesco Gheghi, viene prelevato con la forza fuori da una discoteca e catapultato in un mondo sotterraneo, fatto di combattimenti clandestini dove si vince sopravvivendo. Dopo aver ucciso, senza nemmeno vederne il volto, il suo primo avversario, il ragazzo assume il nome di Batiza e diventa parte di un’organizzazione oscura guidata da un vecchio boss (Renato Carpentieri), e sorvegliata da Minuto, figura ambigua ed ex lottatore dal passato irrisolto, cui presta corpo e voce un intenso Alessandro Gassmann.
La relazione tra Batiza e Minuto, inizialmente fondata su disprezzo e diffidenza, evolve nel tempo, diventando il cuore pulsante del film. Più che un rapporto tra allievo e maestro, si tratta di una continua inversione di ruoli, dove ciascuno riflette nell’altro le proprie ferite. Entrambi devono confrontarsi con il proprio lato oscuro, in un percorso che interroga l’essenza della colpa e la possibilità di redenzione.
Il film si muove su scenari tanto realistici quanto simbolici: container abbandonati, palazzi decadenti, salotti surreali che ospitano match all’ultimo sangue. Questa ambientazione visionaria, che alterna tonalità calde e fredde in modo complementare, contribuisce a creare un universo morale chiuso e asfissiante, una sorta di purgatorio in cui ogni personaggio è in cerca – consapevolmente o no – di una via d’uscita.
Mancini conferma una solida capacità registica, soprattutto nella costruzione delle atmosfere e nella messa in scena dei combattimenti, sempre coreografati con attenzione pittorica e carichi di tensione fisica. Meno centrata, invece, la sceneggiatura – firmata con Davide Lisino – che a tratti si fa ellittica, sacrificando la chiarezza narrativa a favore dell’impatto simbolico, e lasciando non del tutto sviluppati alcuni snodi cruciali.
Francesco Gheghi, sebbene fisicamente meno imponente dei suoi avversari, restituisce con efficacia lo smarrimento e la trasformazione del suo personaggio. Il lavoro sul corpo e sulla presenza scenica è evidente, rendendo progressivamente credibile l’evoluzione di Batiza. Ma è Gassmann, nei panni di Minuto, a lasciare il segno più profondo: un uomo schiacciato dal rimorso, la cui maschera si sgretola lentamente, fino a rivelare un dolore muto e lacerante.
Mani nude è un film che riflette sull’impossibilità di sottrarsi a ciò che si è. La violenza non è mai fine a sé stessa, ma specchio di un tormento interiore che si traduce in una lotta continua, più spirituale che fisica. La citazione iniziale di Ed Bunker – “La vita è qui. Il dolore è qui. La ricompensa è qui” – introduce una dimensione esistenziale che pervade l’intero racconto, trasformando ogni scontro in un momento di verità.
Tuttavia, non tutto funziona con la stessa intensità: l’alternanza tra realismo e allegoria tende talvolta a smarrire il tono complessivo, alcune svolte narrative risultano prevedibili, e il finale rischia di chiudere in maniera troppo costruita un percorso che sembrava voler restare aperto. Eppure, lo sguardo di Mancini, sempre empatico e rigoroso, salva il film dalle trappole del genere e lo riconduce a una dimensione profondamente umana. Perché, in fondo, Mani nude è prima di tutto una storia d’anime alla deriva, in cerca disperata di un senso tra le macerie del dolore.
Federica Rizzo