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Con Per amore di una donna, Guido Chiesa si confronta con un nuovo registro narrativo, portando sul grande schermo l’omonimo romanzo di Meir Shalev. Il regista torinese, noto per opere eterogenee come Il partigiano Johnny e Ti presento Sofia, ambienta la sua storia tra gli anni Trenta e Settanta, riuscendo a intrecciare memoria e ricerca personale in un racconto che attraversa geografie e generazioni.
La protagonista è Esther (interpretata da Mili Avital), hostess americana sulla soglia dei quarant’anni, che al momento della morte della madre riceve una lettera inaspettata: un invito a tornare in Israele e a scoprire la verità su Yehudy (Ana Ularu), figura enigmatica vissuta in Palestina decenni prima. Inizia così una sorta di indagine che porta Esther a calarsi nei panni di un’investigatrice improvvisata, accompagnata da Zayde (Ori Pfeffer), professore dal cuore sensibile che si lascia coinvolgere tanto dalla missione quanto dalla donna.
Chiesa costruisce la narrazione su due livelli temporali distinti, alternando il presente degli anni Settanta al passato degli anni Trenta. Se da un lato questo gioco di flashback contribuisce a mantenere alta la tensione emotiva, dall’altro rischia talvolta di appesantire il ritmo, cedendo a un’eleganza formale che può apparire fine a sé stessa.
Nel passato, la figura centrale è Moshe (Alban Ukaj), contadino vedovo che accoglie in casa Yehudy come domestica. Libera e indipendente, Yehudy sconvolge l’equilibrio del piccolo villaggio agricolo, diventando il centro emotivo e sentimentale di tre uomini molto diversi: Moshe, il romantico Yaakov (Mare Rissmann) e il facoltoso Globerman. La nascita di un bambino, Zayde, aggiunge un ulteriore nodo alla trama affettiva, che si complica nel tempo fino a intrecciarsi con la storia di Esther.
Il film si distingue per una regia sobria e consapevole, che evita eccessi melodrammatici e trova un momento particolarmente toccante nell’entrata in scena di Vincenzo Nemolato, nei panni di un soldato italiano scampato a El Alamein. Il suo personaggio, vivace e generoso, dona nuova linfa al malinconico Yaakov e accende una scintilla di speranza in una narrazione che tende spesso al riflessivo.
Senza ricorrere ai codici del thriller o del mistery puro, Per amore di una donna riesce comunque a tenere alta la curiosità dello spettatore, grazie a un intreccio solido e a una rivelazione finale che lascia un segno profondo, nonostante la misura con cui è raccontata. Un’opera stratificata e delicata, che riesce a coniugare intimità e memoria storica con rara sensibilità.
Carla Curatoli