Diretto da Emmanuel Mouret, arriva al cinema dal 19 giugno con Lucky Red
Con Tre amiche, Emmanuel Mouret torna al centro della scena cinematografica con un’opera che approfondisce, con delicatezza e precisione, le dinamiche dell’amore, dell’amicizia e delle relazioni umane. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film è un nuovo tassello nella poetica del regista marsigliese, raffinato esploratore dei sentimenti contemporanei.
La storia ruota attorno a tre donne legate da un’amicizia solida ma attraversata da segreti e incertezze: Joan, insegnante d’inglese, non ama più il compagno Victor e si sente in colpa nel nascondere la verità; Alice, sua confidente e collega, vive serenamente la sua relazione con Eric pur senza esserne innamorata, convinta che l’amore si regga su una benefica finzione; Rebecca, la terza del trio, artista bohémien, è l’amante segreta di Eric. Quando Joan prende la difficile decisione di lasciare Victor e lui misteriosamente scompare, il fragile equilibrio che tiene insieme le loro esistenze inizia a incrinarsi. Da quel momento, ogni personaggio è costretto a confrontarsi con sé stesso, con le proprie omissioni e con ciò che davvero desidera.
Mouret costruisce un intreccio narrativo elegante, che richiama la struttura circolare de La Ronde di Max Ophüls e l’intimismo morale dei film di Éric Rohmer, per raccontare i moti del cuore con una leggerezza solo apparente. I suoi personaggi sono esseri umani complessi, pieni di contraddizioni, desideri repressi, paure e slanci sinceri, che si muovono in un mondo dove il non detto pesa quanto le parole. La sceneggiatura – scritta a quattro mani con Carmen Leroi – alterna situazioni quotidiane a momenti sospesi, fino a sfiorare il metafisico, come nella scena in cui Joan dialoga con una presenza-assenza, toccando con sincerità la ferita aperta del rimpianto.
A sostenere la narrazione, una voce fuori campo che assume un ruolo narrativo preciso: introduce i luoghi prima dei personaggi, suggerendo che anche lo spazio – Lione e i suoi dintorni – è protagonista silenzioso della storia. Un espediente che rivela l’amore di Mouret per il racconto corale e stratificato, e che ricorda l’approccio letterario del cinema di Woody Allen, autore con cui Mouret condivide il gusto per i dialoghi serrati e il tono malinconico-ironico.
Il tono della commedia rimane dominante, ma mai farsesco o caricaturale. Mouret sa che la risata, come il pianto, nasce dalla fragilità, e in Tre amiche riesce a raccontare il dolore senza retorica, lasciando spazio alla tenerezza, all’ambiguità, al non risolto. L’elemento drammatico è sempre sottile, insinuato nei dettagli, nelle esitazioni, negli sguardi mancati. Il regista non giudica, osserva. E lo fa con una compassione che raramente si concede al cinismo.
Notevole la direzione degli attori: India Hair, Camille Cottin e Sara Forestier sono autentiche forze della natura, capaci di passare con naturalezza dall’ironia alla commozione, dalla leggerezza al turbamento emotivo. Accanto a loro, i comprimari maschili – Vincent Macaigne, Damien Bonnard e Grégoire Ludig – arricchiscono ulteriormente un racconto che si nutre di sfumature e ambiguità, evitando ogni manicheismo.
Tre amiche è anche un film sull’illusione dell’equilibrio, sul tentativo – spesso vano – di fermare ciò che muta per natura: l’amore, il desiderio, la verità. E Mouret, con uno sguardo che non impone ma accoglie, accompagna i suoi personaggi nei loro tentativi maldestri di vivere secondo cuore. Ne emerge una visione gentile ma non ingenua dell’esistenza, dove ogni incontro è occasione di cambiamento, e ogni addio porta con sé un’eco di eternità.
In un panorama cinematografico spesso dominato dall’urgenza di stupire, Tre amiche brilla per sobrietà e coerenza. Non cerca effetti, ma emozioni. Non urla, ma sussurra. Ed è proprio in quel sussurro che il film trova la sua forza: nel suo essere semplice senza essere superficiale, malinconico senza essere deprimente, poetico senza mai scadere nell’enfasi. Mouret conferma di essere un autore di rara sensibilità, capace di far vibrare anche il silenzio.
Federica Rizzo