Al Casino dei Principi oltre cento opere raccontano la storia intensa e tormentata dei capostipiti della Scuola Romana, in una mostra che intreccia arte e vita come due facce dello stesso destino
Ci sono mostre che si limitano a celebrare, e altre che sanno restituire complessità, sfumature, tensioni. Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’altra forma di amore, in programma dal 23 maggio al 2 novembre 2025 al Casino dei Principi di Villa Torlonia, appartiene decisamente alla seconda categoria. Più che un’esposizione, è un viaggio profondo nei territori condivisi e divergenti di due artisti che hanno fatto della vita quotidiana materia d’arte e dell’arte una forma di sopravvivenza sentimentale.
Promossa dal Centro Studi Mafai-Raphaël, in collaborazione con la Sovrintendenza Capitolina e Roma Capitale, la mostra è curata con grande sensibilità da Valerio Rivosecchi e Serena De Dominicis, che costruiscono un percorso sobrio e denso, evitando tanto l’enfasi celebrativa quanto il didascalismo museale.
Non è un caso che la sede sia il Casino dei Principi, custode dell’Archivio della Scuola Romana dal 2006. Qui l’arte di Mafai e Raphaël – e quella, in parte, del loro compagno di strada Scipione – ritorna a casa, nei luoghi in cui prese forma un linguaggio pittorico profondamente romano, visionario e anticanonico, capace di sfidare il decorativismo imperante del primo Novecento.
Un amore irregolare e fertile
L’espressione “un’altra forma di amore”, che dà titolo alla mostra, nasce da una lettera scritta da Mafai nei primi anni Quaranta alla moglie Antonietta. Un amore difficile, teso, profondamente nutrito dalla stessa forza che lo minacciava: la creazione artistica. Non c’è traccia di idealizzazione in questo racconto, ma il ritratto nitido di una relazione fatta di confronti, fughe, ritorni e – soprattutto – reciproca influenza.
Lungo le sette sezioni distribuite su due piani, la mostra racconta questo intreccio con rara lucidità. La pittura di Mafai, con le sue nature morte tremolanti, i paesaggi urbani disfatti, i volti familiari appena accennati, si confronta costantemente con l’opera scultorea, potente e materica, di Raphaël, che attraverso il gesso e il bronzo racconta angosce, maternità, ebraismo, identità, eros.
Dal sodalizio alla rivoluzione espressiva
Il loro primo incontro, nel 1925 all’Accademia di Belle Arti di Roma, dà il via a una collaborazione che sfocerà nella fondazione della cosiddetta “Scuola di Via Cavour”, nome coniato da Roberto Longhi nel 1929. Antonietta, ebrea lituana in fuga dai pogrom, porta nella capitale italiana un’energia espressionista e internazionale che travolge la sensibilità ancora in formazione di Mafai e di Scipione. Non solo musa, ma motore teorico e creativo.
Nel percorso espositivo emergono con forza le singole traiettorie artistiche. Mafai parte da tonalità cupe, poi evolve verso un lirismo più rarefatto e, infine, approda a una pittura astratta, fragile e libera, come lui stesso dichiarò nel dopoguerra. Raphaël, invece, si emancipa dalla pittura per affermarsi nella scultura, un campo che le consente di agire senza paragoni interni alla coppia, imprimendo alla materia una forza quasi arcaica.
Musica, memoria, metamorfosi
Una sezione è dedicata al tema musicale, che univa profondamente i due artisti: lei, diplomata in pianoforte, ispirava scene domestiche che Mafai traduceva in immagini di struggente delicatezza. Opere come La lezione di piano (1928) o Natura morta con chitarra (1932) non sono solo quadri, ma partiture visive che raccontano armonie intime.
Altrove, lo sguardo si fa più ruvido. Le opere tarde di Raphaël sono esplosive, oniriche, segnate da una carica drammatica che scava dentro i materiali e dentro la memoria. Tra queste, Mario nello studio (Omaggio a Mafai) del 1966, realizzato un anno dopo la morte del compagno, è un punto culminante: un addio e insieme un eterno ritorno.
Un epilogo come duetto
Nel finale, due opere si rispondono in silenzio: Ritratto di Antonietta nello studio di scultura di Mafai e Omaggio a Mafai di Raphaël. È come se i due artisti si parlassero da una soglia, lasciando al pubblico la possibilità di ascoltare. Accanto, lettere autografe selezionate da Sara Scalia, nipote degli artisti, completano il racconto con un tono intimo, quasi sussurrato.
Il catalogo, pubblicato da De Luca Editori d’Arte, è pensato come estensione critica della mostra, non solo come documentazione, ma come narrazione parallela.
Una mostra necessaria
L’amore che unisce, separa e genera – questo racconta la mostra. Non idealizza né semplifica. Insegue il battito irregolare di due artisti che hanno saputo trasformare l’inquietudine in linguaggio. E ci ricorda che, in fondo, l’arte è l’unico spazio in cui l’amore, anche quando cambia forma, non finisce mai.
Roberto Puntato