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New York, 1957. Nell’Upper West Side di Manhattan, è in corso una guerra per il controllo del territorio tra due bande di giovani: da una parte ci sono i Jets, di origine europea, dall’altra gli Sharks, composti da immigrati portoricani. Le tensioni tra le due bande si infiammano ulteriormente quando Maria, la sorella del capo degli Sharks, si innamora di Tony, fondatore ed ex membro dei Jets.
Con West Side Story, Steven Spielberg affronta per la prima volta il genere musical, facendosi carico dell’eredità di un capolavoro e rivitalizzandolo attraverso una prospettiva più fresca e moderna.
Il risultato è un film mirabilmente spielberghiano, che si muove tra spettacolari coreografie, ottimi arrangiamenti musicali e un cast assolutamente perfetto. Uno straordinario tripudio visivo che ripercorre e omaggia il musical originario, infondendogli però quella grandiosità che caratterizza le opere cardine del regista americano.
Un film allo stesso tempo uguale e diverso al precedente, che grazie anche all’abile sceneggiatura di Tony Kushner, sa trasmettere al pubblico contemporaneo la bellezza di un racconto imperituro senza mai stravolgerne il senso profondo.
Per l’ennesima volta, Spielberg si dimostra un regista camaleontico, perfettamente a suo agio anche con un genere spinoso come il musical e per di più con un’opera intramontabile che appartiene all’immaginario collettivo. Ma soprattutto ci regala un nuovo omaggio alla magia del cinema, perché la messa in scena del suo West Side Story è così accurata, grandiosa e di ampio respiro che non può che essere goduta in una grande sala buia.
La meticolosa ricostruzione della New York d’epoca fa da sfondo a una storia dalle forti implicazioni morali, che Spielberg rende ancora più fedele allo spirito originale dell’opera di Bernstein, Sondheim e Laurents. La novità principale della versione spielberghiana, infatti, è che questa volta i personaggi latini del film sono interpretati da veri attori latini che parlano la loro lingua: così, da una parte il regista accentua la questione razziale molto più che nel film del 1961, dall’altra conferisce all’opera un’autenticità e un realismo straordinari.
Per un lavoro di tale portata, gli attori costituiscono ovviamente un aspetto di grande importanza. Con un lavoro di casting esteso ad ogni angolo del pianeta, Spielberg riesce a portare sullo schermo degli interpreti talentuosi ed efficaci, che riescono a non farci rimpiangere quelli ormai iconici del film di Wise.
Per di più, dal film del ’61, viene trasportata nella nuova versione del musical anche l’attrice portoricana Rita Moreno (Anita), che qui interpreta Valentina, la vedova del droghiere che aiuta Tony a reintegrarsi dopo il carcere.
Con la sua ultima fatica, Spielberg riesce nella non facile impresa di far rivivere sullo schermo le stesse emozioni del musical originario, facendo sì che anche le nuove generazioni possano scoprire e amare questo classico immortale.
Ilaria Berlingeri