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Il cinema ha da sempre una predilezione per la velocità. Dai noir urbani agli inseguimenti adrenalinici, la corsa – fisica o simbolica – è un tema cardine della narrazione cinematografica. F1 – Il Film, diretto da Joseph Kosinski, non fa eccezione. Anzi, rilancia: dopo aver portato Tom Cruise a volare di nuovo nei cieli con Top Gun: Maverick, qui è Brad Pitt a infilarsi nel cockpit di una monoposto, pronto a sfidare il cronometro e i fantasmi del passato.
Kosinski torna sul terreno che gli è congeniale: storie di uomini in bilico tra gloria e decadenza, tecnologia e umanità, mito e malinconia. E lo fa mescolando il pathos da corsia box al romanticismo epico di un cinema che, nonostante l’avanzata degli algoritmi, crede ancora nell’eroe imperfetto. Il regista costruisce un racconto pieno di ritmo e sentimento, dove la pista diventa arena esistenziale. Non è solo una questione di sorpassi e derapate, ma di riscatto, di identità, di generazioni che si scontrano per poi riconoscersi.
Brad Pitt è Sonny Hayes, ex talento della Formula 1, ritiratosi da tre decenni dopo un grave incidente. Vive on the road, si arrangia come può, guida ovunque e qualunque cosa – dalla Nascar ai taxi di New York – ma porta ancora addosso il rombo delle gare. Quando il suo vecchio amico Ruben Cervantes (Javier Bardem), oggi proprietario della scuderia Apex, lo richiama per fare da secondo pilota e mentore a una giovane promessa, Hayes accetta. È l’ultima curva della sua carriera, forse della sua vita.
Il giovane in questione è Joshua “Noah” Pearce (Damson Idris), talento puro e arroganza allo stato brado. Tra i due c’è uno scontro generazionale netto, accentuato da stili di guida e approcci opposti. Ma, come accade nei migliori drammi sportivi, la pista farà da mediatore: lì si chiariscono le rivalità, si cementano i legami, si ridisegna la traiettoria del destino. A coordinare la squadra c’è Kate, interpretata da Kerry Condon, figura centrale e per nulla accessoria, che gestisce tensioni e strategie con intelligenza e polso.
Kosinski imposta il film come un vero e proprio western moderno. Il volante sostituisce la pistola, le curve i canyon, e il protagonista – come ogni cowboy che si rispetti – affronta la solitudine, la fatica e il tramonto con una strana grazia. L’eroe di F1 non è invincibile, non è più nel suo prime, ma ha ancora qualcosa da dire. Proprio come Maverick, Sonny Hayes è il volto nostalgico di un’America che non si arrende, che sa quando cedere il passo, ma pretende di farlo alle sue condizioni.
Il film rievoca anche Driven di Renny Harlin (con Sylvester Stallone), ma ne amplifica il respiro e l’eleganza. Kosinski, infatti, non si limita a filmare le gare: le coreografa, le orchestra, le trasforma in un balletto meccanico ipnotico e pulsante. Il montaggio di Stephen Mirrione è serrato, preciso, sempre al servizio della tensione narrativa, mentre la colonna sonora di Hans Zimmer – potente e calibrata – contribuisce a dare ritmo e pathos anche ai momenti più intimi.
La forza di F1 – Il Film sta tutta nella sua capacità di parlare a pubblici diversi. Gli appassionati della Formula 1 troveranno pane per i loro denti: i circuiti reali (da Monza a Las Vegas), la collaborazione ufficiale della F1, camei eccellenti (compreso Roscoe, il bulldog di Lewis Hamilton), dettagli tecnici e atmosfere autentiche. Ma anche chi di motori capisce poco viene catturato dalla storia, trascinato dalle emozioni, coinvolto da personaggi sfaccettati e carismatici.
Al centro c’è un dualismo ben orchestrato: esperienza contro ambizione, intuizione contro tecnica, tradizione contro innovazione. È una sfida tra passato e futuro, tra chi ha vissuto e chi vuole ancora vivere. E alla fine, pur con qualche passaggio prevedibile e una durata (oltre due ore e mezza) che si fa sentire, F1 raggiunge il traguardo: è spettacolo puro, con un cuore grande sotto il cofano.
F1 – Il Film è un blockbuster che non rinuncia al sentimento. Un’opera che riporta al centro la figura dell’outsider, dell’uomo imperfetto che, pur inciampando, trova una nuova traiettoria. Pitt è in stato di grazia, il personaggio di Sonny conquista subito per la sua umanità e ironia, e Kosinski conferma di avere una visione chiara, capace di tenere insieme azione e introspezione.
Certo, il product placement è abbondante e la retorica sportiva non manca. Ma sono compromessi che funzionano se inseriti in un racconto così ben costruito, così sinceramente hollywoodiano. Alla fine, uscendo dalla sala, resta l’eco dei motori, ma anche la sensazione di aver visto una storia che, nella sua corsa verso la gloria, sa parlare di fallimenti, seconde occasioni e del coraggio di rimettersi in gioco.
Maria Grande