Al cinema dal 9 luglio con Warner Bros. Pictures
Dopo anni in cui l’Uomo d’Acciaio era stato trasformato in una figura cupa e dolente, James Gunn lo riporta al centro dell’immaginario collettivo con un film che segna un vero e proprio spartiacque nel mondo dei cinecomic. Il suo Superman è un’opera potente e profondamente politica, che scardina i codici narrativi ereditati dal passato recente per restituirci un personaggio capace di coniugare forza ed empatia, epica e ironia.
Superman, qui interpretato da un sorprendente David Corenswet (che richiama con eleganza lo spirito di Christopher Reeve), è un rifugiato, un alieno che ha scelto la Terra come casa, diventando simbolo vivente di inclusione e umanità. Lontano dalla figura del redentore dolorante, Gunn lo dipinge come un outsider con un cuore gentile, costretto a fare i conti con un mondo che lo venera e lo teme, lo acclama e lo mette alla gogna. Non è più solo l’eroe invincibile, ma una creatura profondamente vulnerabile, che affronta ferite fisiche ed emotive con una forza silenziosa e, per questo, ancora più significativa.
La trama si muove con intelligenza tra il racconto d’avventura e l’allegoria contemporanea. Dopo aver evitato una guerra ingiusta tra Stati alleati degli USA, Superman si ritrova al centro di una crisi geopolitica che lo pone in rotta di collisione con il governo americano e con il suo eterno rivale: Lex Luthor. Nicholas Hoult, nel ruolo del nemico storico, offre una performance magnetica e disturbante, modellando il suo Luthor come un tecnocrate narcisista, più vicino a certi magnati dell’era digitale che al classico villain da fumetto.
Ma ciò che rende Superman di Gunn davvero memorabile è la capacità del regista di trasformare l’eroe in un simbolo del nostro tempo: non più incarnazione di un potere assoluto, ma metafora vivente del desiderio di appartenere, di comprendere e di scegliere il bene in un mondo che spesso premia la prevaricazione. La sua bontà non è più un destino scritto nel DNA kryptoniano, ma una scelta quotidiana e faticosa.
Gunn non rinuncia alla dimensione spettacolare – l’azione è ben calibrata, i combattimenti intensi e visivamente coinvolgenti – ma sceglie di dare centralità all’anima del racconto. Il tono del film gioca con leggerezza e intelligenza, flirtando con la commedia e persino con la farsa, senza mai cadere nella banalità. C’è ironia, ma anche profondità. E c’è una consapevolezza rara: per emozionare non serve il pathos tragico, basta la verità.
Lo si vede anche nei comprimari, una Justice Gang disordinata e irresistibile, che bilancia il protagonista con energia e carattere: dal Guy Gardner irriverente di Nathan Fillion, al Mr. Terrific di Edi Gathegi, fino all’Engineer interpretata da María Gabriela de Faría, vera rivelazione del film. Senza dimenticare Krypto, il cane alieno che, in pieno stile John Wick, scatena l’inferno quando viene rapito, rubando ogni scena in cui appare.
Il cuore emotivo, però, è Lois Lane. Rachel Brosnahan offre una performance sfaccettata e incisiva, rendendo il suo personaggio non solo una partner affettiva, ma una figura centrale nel discorso etico del film. Un’intervista da lei condotta a Superman è una delle sequenze più intense dell’intero racconto, smascherando le ambiguità dell’eroe e sollevando questioni complesse sul ruolo pubblico dell’icona e sull’identità privata dell’uomo dietro al mantello.
Dal punto di vista estetico, il film è una gioia per gli occhi: luminoso, pop, rétro quanto basta. Lontano dalle atmosfere cupe e pesanti del ciclo snyderiano, Gunn recupera l’eleganza colorata delle origini, aggiornandola con tocchi contemporanei e una CGI spettacolare ma al servizio della storia. Un’estetica che richiama gli anni Settanta e Ottanta, ma con uno sguardo critico sul presente.
Sì, Superman è un film politico, ma lo è nel modo migliore: senza proclami, ma con un sottotesto potente e coerente, che parla di identità, appartenenza, giustizia e speranza. Temi tutt’altro che leggeri, che però il regista affronta con levità e sincerità, costruendo un’opera che riesce a commuovere e a far riflettere senza mai appesantire.
In conclusione, Superman è un reboot che funziona, non solo perché rilancia il personaggio in modo credibile e affascinante, ma perché lo rende di nuovo necessario. In un’epoca dominata dal cinismo, dalle guerre narrative e dalla perdita di fiducia nei simboli, Gunn ci restituisce un Superman che crede ancora nel genere umano. Ma lo fa senza moralismi, con un sorriso accennato e una carezza a un cane. E con un messaggio semplice e disarmante: il Bene non ha bisogno di bandiere, solo di scelte coraggiose.
Maria Grande