Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2024 e candidato agli Oscar 2025 come miglior film internazionale, arriva al cinema il 20 febbraio distribuito da Lucky Red e BIM
Il seme del fico sacro, ultimo film girato in Iran dal regista Mohammad Rasoulof prima della sua drammatica fuga dal Paese, è un potente dramma politico che esplora le tensioni sociali e familiari di una nazione in rivolta. Rasoulof, perseguitato dai tribunali rivoluzionari iraniani, riesce a trasformare il privato in un microcosmo politico, mettendo a nudo le crepe e le contraddizioni di una società sotto pressione.
La trama si concentra su Iman, un giudice istruttore appena promosso presso il tribunale rivoluzionario di Teheran. Mentre il Paese è scosso da proteste popolari, la sua famiglia diventa un campo di battaglia simbolico: le due figlie sostengono il movimento, mentre sua moglie Najmeh cerca di mantenere un equilibrio precario, sperando che la promozione del marito permetta loro di migliorare le condizioni di vita. Il conflitto si dipana tra le mura domestiche, dove le tensioni politiche e morali si intrecciano in modo inesorabile.
La storia si apre con una scena simbolica: Iman mostra alla moglie la pistola ricevuta per difendersi. Una presenza che aleggia per tutto il film, suggerendo il potenziale esplosivo della situazione. La famiglia, inizialmente speranzosa per un futuro migliore, viene progressivamente risucchiata in un vortice di paura e repressione. Le figlie sono costrette a limitare i contatti sociali, a rinunciare alla libertà di espressione e a vivere quasi in isolamento, mentre fuori il Paese è scosso dalla violenza e dalla rivolta.
Con uno stile narrativo che non lascia spazio alla metafora, Rasoulof sceglie di raccontare direttamente le dinamiche di controllo e oppressione. Ogni dettaglio è significativo: dalla scelta di non far indossare l’hijab alle donne in casa, per sottolineare il contrasto tra pubblico e privato, alla costruzione di una paranoia sempre più opprimente che spezza l’intimità familiare.
La tensione culmina in una svolta che sembra quasi un film nel film: un’improvvisa virata verso un linguaggio più vicino al cinema di genere, ma sempre intriso della poetica di Rasoulof. E, come anticipato nella scena iniziale, la pistola diventa inevitabilmente un elemento chiave, simbolo del punto di rottura.
Il seme del fico sacro è molto più di un film: è un grido di denuncia contro il sistema che schiaccia le libertà individuali, ma anche contro la complicità di chi accetta passivamente l’oppressione. Il lavoro di Rasoulof è denso e ambizioso, un racconto che intreccia politica e vita quotidiana con grande maestria. Il regista non si limita a osservare, ma punta il dito contro un sistema che plasma le coscienze e ridisegna i limiti dell’etica.
Con Il seme del fico sacro, Rasoulof firma un’opera intensa e coraggiosa, capace di gettare luce sulle ombre di una società in crisi, ma anche di interrogare lo spettatore su quanto il personale possa essere davvero separato dal politico. Un film che non lascia indifferenti e che resterà impresso nella memoria come un atto di resistenza cinematografica.
Alberto Leali