Dopo aver esplorato i lati più invisibili ed oscuri di New York e Los Angeles, l’acclamato regista indie Sean Baker si sposta in Florida, nella periferia vicino a Disneyland, in quell’America dimenticata e costretta ad accontentarsi delle briciole. Qui si erge una schiera di motel pacchiani e dai nomi ludici, nati per acchiappare turisti, ma in cui vivono per lo più famiglie disagiate e tristemente arenate.
Moonee e Scooty sono due bambini vispissimi e inseparabili, che vivono con le rispettive madri nel colorato complesso di The Magic Kingdom. A loro si unisce la più docile Jancey, che vive, con la nonna e la sorellina, a Futureworld, altro conglomerato di motel nelle vicinanze. Halley, la giovane e scapestrata madre di Moonee, sbarca il lunario inventandosi sempre nuovi modi per portare a casa i soldi per l’affitto; anche la piccola Moonee vive alla giornata, divertendosi con i suoi amici ad architettare scherzi e marachelle.
Girato in 35mm con uno stile a metà strada tra il realismo e il trasognante, Un sogno chiamato Florida sceglie il punto di vista dei bambini, mettendo la macchina da presa alla loro altezza e seguendoli nei loro giochi estivi e a volte estremi, tra complessi architettonici dai colori ipersaturi.
Nel mondo della piccola Moonee e dei suoi amici messo in scena da Sean Baker, i grandi sono quasi esclusivamente donne e madri sole, che fanno salti mortali per pagare l’affitto settimanale di una minuscola stanza ammobiliata. Halley, in particolare, hot pants, canotte e tatuaggi, vive per lo più di espedienti e alla giornata, ma con sua figlia costruisce una sorta di idillio infantile e atemporale, in cui si alternano risate, tenerezza e divertimento. Perché a Moonee e ai suoi amici la povertà e le difficoltà della loro condizione non pesano affatto: il loro è un mondo fatto di marachelle e piccoli inganni, in cui muoversi al di sopra delle regole, sicuri, però, dell’amore che i loro genitori, pur se poco affidabili, nutrono incondizionatamente per loro.
E poi c’è Bobby, uno straordinario Willem Dafoe, manager rigido ma comprensivo, guardiano, protettore ed angelo custode del Magic Kingdom, senza la cui presenza i precari equilibri umani dei suoi abitanti crollerebbero inesorabilmente (vedasi la scena in cui allontana un pedofilo dai bambini che giocano senza alcun controllo da parte degli adulti).
Sean Baker punta molto sul contrasto visivo fra le esistenze miserabili dei suoi personaggi e i colori vivaci e fiabeschi degli ambienti che li circondano, fra la ricchezza ostentata e fittizia del sogno disneyano e la povertà desolante della periferia americana. Perché quella che racconta in Un sogno chiamato Florida è una storia di umana disperazione, raccontata, però, senza pietismi o giudizi, con un’abbondante dose di solarità, vitalità ed allegria.
Un plauso va, inoltre, a tutto il cast del film, da Bria Vinaite, alla sua opera prima dopo essere stata scoperta su Instagram, a tutto l’ensemble dei bambini, a cominciare dalla stupefacente Brooklynn Kimberly Prince nel ruolo di Moonee.
Alberto Leali